La giornata non è cominciata nel migliore dei modi. E' vero, tutti sappiamo che in Italia molte cose non vanno, com'è vero che la vita comoda e il qualunquismo oramai affermato nelle nostre teste o ci fa galleggiare nel brodo marcio o ci fa scappare dal bel Paese (nessuno escluso). Però fa sempre molto male quando alla porta bussano esempi reali di una brutta storia anche solo immaginata.
Questo è il caso di Rita Clementi, 47 anni, laureata in medicina con 2 specialità (pediatria e genetica medica) presso l'università degli studi di Pavia, da una vita ricercatrice precaria, sballottata tra una miriade di contrattucci e un sistema in cui la meritocrazia vale meno della carta s
traccia. Non è una ricercatrice come le altre, è uno di quei cervelli che ha preferito non fuggire (almeno fino ad ora), una testa con i controtesticoli: ha scoperto infatti correlazioni fra alcune forme di linfome e il corredo genetico delle persone, in poche parole ha capito come la predisposizione verso alcune forme di tumore possano essere trasmesse di generazione in generazione. I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati su un'importante rivista inglese, il "New England Journal of Medicine", con una risonanza estera non indifferente. Non a caso il termine "estera" viene enfatizzato più di altri: nel 2005 è stata costretta ad interrompere le sue ricerche e le sue scoperte sono diventate parte integrante di progetti di ricerca di gruppi, indovinate dove, di altri paesi.
Ebben stamattina apro il corriere e trovo appunto la storia di questa donna, madre, ricercatrice, medico, la quale dopo tanti anni di sacrifici e lotte alle spalle è costretta a trasferirsi a Boston per dare alla propria ricerca la giusta dimensione che merita. 3 figli a carico ed una vita da ricominciare. Non senza rabbia ed amarezza sia chiaro, come da lei stessa commentato nella lettera inviata a Napolitano e pubblicata dal corriere. Ripropongo di seguito alcuni passaggi:
G
Questo è il caso di Rita Clementi, 47 anni, laureata in medicina con 2 specialità (pediatria e genetica medica) presso l'università degli studi di Pavia, da una vita ricercatrice precaria, sballottata tra una miriade di contrattucci e un sistema in cui la meritocrazia vale meno della carta s

Ebben stamattina apro il corriere e trovo appunto la storia di questa donna, madre, ricercatrice, medico, la quale dopo tanti anni di sacrifici e lotte alle spalle è costretta a trasferirsi a Boston per dare alla propria ricerca la giusta dimensione che merita. 3 figli a carico ed una vita da ricominciare. Non senza rabbia ed amarezza sia chiaro, come da lei stessa commentato nella lettera inviata a Napolitano e pubblicata dal corriere. Ripropongo di seguito alcuni passaggi:
"Chi fa ricerca da precario non può «solo» contare sui risultati che ottiene, poiché in Italia la benevolenza dei propri referenti è una variabile indipendente dalla qualità del lavoro"
"docenti dichiarati colpevoli sino all’ultimo grado di giudizio per aver condotto concorsi universitari violando le norme non sono mai stati rimossi e hanno continuato a essere eletti (dai loro colleghi!)"
"Lavoravo, come tutti i precari, senza versamenti pensionistici, ferie, malattia. Ho avuto contratti di tutti i tipi: borse di studio, co-co-co, contratti di consulenza[...]Sia chiaro: nessuno mi imponeva questi orari. Ero spinta dal mio senso del dovere e dalla forte motivazione di aiutare chi era ammalato"
"Desidero evidenziare proprio questo: il sistema antimeritocratico danneggia non solo il singolo ricercatore precario, ma soprattutto le persone che vivono in questa Nazione. Una «buona ricerca» può solo aiutare a crescere; per questo motivo numerosi Stati europei ed extraeuropei, pur in periodo di profonda crisi economica, hanno ritenuto di aumentare i finanziamenti per la ricerca."
"È sufficiente, anche in Italia, incrementare gli stanziamenti? Purtroppo no. Se il malcostume non verrà interrotto, se chi è colpevole non sarà rimosso, se non si faranno emergere i migliori, gli onesti, dare più soldi avrebbe come unica conseguenza quella di potenziare le lobby che usano le Università e gli enti di ricerca come feudo privato e che così facendo distruggono la ricerca.
Con molta amarezza, signor presidente, la saluto."
G